martedì 12 febbraio 2008

Marziani '08 - 8



La terra promessa delle adozioni gay.
Via libera d'Israele alle coppie omosessuali: sì a un figlio.
Di Francesca Paci, La Stampa

GERUSALEMME
Il primo pensiero va a David e Raul, una coppia di amici ebrei italiani: se decideranno di chiedere la cittadinanza israeliana potranno finalmente adottare un figlio». Shai Doatsh, portavoce dell'associazione omosessuale israeliana Agudà, agisce localmente ma pensa global, secondo la filosofia gay. La sentenza del consigliere giuridico del governo, Menahem Mozouz, che domenica ha spalancato le porte dell'adozione a partners dello stesso sesso, allinea il diritto di famiglia israeliano a quello di Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Islanda, al Belgio che nel 2003 è stato il secondo Paese al mondo dopo l'Olanda a legalizzare i matrimoni omosessuali. Ma apre uno spiraglio anche per David, Raul, gli altri e le altre ebree che rispondono a legislazioni meno permessive ma potrebbero, domani, usufruire del diritto al ritorno nella Erez Israel e coronare il sogno proibito d'una paternità/maternità.

«L'unico criterio da prendere in considerazione è il bene del bambino» è stata l'argomentazione vincente di Mazouz. A febbraio del 2006 la Corte israeliana aveva riconosciuto il diritto di Tal e Avital Yaros-Hakak, una coppia lesbica, ad adottare i tre bambini nati dalla precedente unione di Tal. La cosiddetta «stepchild-adoption», l'adozione del figliastro, corsia preferenziale femminile possibile, oltre che in Israele, in Germania, Norvegia, Danimarca. «L'unico criterio da prendere in considerazione è il bene del bambino» è stata l'argomentazione vincente di Mazouz. A febbraio del 2006 la Corte israeliana aveva riconosciuto il diritto di Tal e Avital Yaros-Hakak, una coppia lesbica, ad adottare i tre bambini nati dalla precedente unione di Tal. La cosiddetta «stepchild-adoption», l'adozione del figliastro, corsia preferenziale femminile possibile, oltre che in Israele, in Germania, Norvegia, Danimarca.

«Adesso sarà più semplice anche per gli uomini» afferma Shai Doatsh. A giudicare dalle ultime statistiche di Agudà, in Israele ci sono almeno 18 coppie omosessuali, di cui 25 già genitori/genitrici e 10 alle prese con certificati, richieste ufficiali, carte bollate.

La sentenza del giudice Menahem Mozouz, spiega Michal Hamel, leader storico del movimento gay israeliano, «equipara le coppie omosessuali a quelle dello stesso sesso sostenendo che una coppia è una coppia e corrisponde esattamente all'idea di mamma e papà». Un'affermazione semplice ma rivoluzionaria qui, dove convivono la licenziosa San Francisco mediorientale patria della cantante trans Dana International e la terra santa della Bibbia. Dove, secondo uno studio della Ynet-Gesher, il 73 per cento dei genitori s'immedesima con il primo ministro ed è pronto ad accettare un figlio omosessuale come Dana Olmert, ma rabbini, imam e porporati cristiani innalzano eccezionalmente comuni barricate contro il Gay Pride di Gerusalemme.

«L'adozione è la naturale evoluzione di un percorso civile e legale sull'uguaglianza dei sessi» nota Michal Tamir, docente di diritto di famiglia all'università di Tel Aviv. «Israele è un Paese moderno ma anche profondamente conservatore, il punto d'incontro tra la cultura occidentale e la tradizione mediorientale. Il sistema legale e quello politico procedono lentamente, di pari passo, senza strappi». Nel 1988 è venuto il riconoscimento dell'omosessualità, nel 2005 la maternità delle lesbiche, ora l'adozione per tutti, donne e uomini. Nonostante le fughe in avanti dei progressisti, a Gerusalemme fa ancora scuola la sinagoga ortodossa di Dean Ramon, inamovibile nel ricordare che «la legge ebraica proibisce l'omosessualità» e il leader della destra religiosa, Nissim Ze'ev, auspica «centri di riabilitazione per curare la sodomia». Passato e futuro, in guerra per il presente.

Michal Tamir legge la decisione della Corte come lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi: «Per essere un Paese con cinque milioni e mezzo di abitanti, Israele ha il più alto numero di famiglie omosessuali con figliastri adottivi». Altre ne seguiranno e più "ufficiali", nonostante l'anatema del ministro Eli Yishai, leader del partito ultraortodosso Shas contro la «nauseante iniziativa del giudice Mozouz». Più che la morale è l'economia a spingere verso l'emancipazione. I dati di Avodà coincidono con quelli del ministero del turismo: oltre il 10 per cento degli stranieri che visitano Israele ogni anno è composto da gay. Se la Knesset si aprisse ancora di più, come ha già fatto il Comune di Tel Aviv, potrebbero arrivare 400 turisti omosessuali ogni settimana. O magari aspiranti residenti come David e Raul, disposti a lasciare l'Italia per un bebè.

Buffo, no? Israele (quelli di Sodoma e Gomorra, di Onan eccetera) si, e noi no...

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