mercoledì 2 gennaio 2008

Marziani 2008 - 2





Nell'ambito del dibattito sulle cure pseudo-psico-cattoliche dell'omosessualità, di cui abbiamo parlato anche qui, su Queerblog uno dei lettori ha mandato uno scritto circa la sua vita in Danimarca, dove lui e il suo compagno si sono trasferiti da una decina d'anni. La lettura di ciò che scrive è oltremodo interessante... per la sua 'normalità', persino banalità. Ma queste sono qualità addirittura rivoluzionarie e fantascientifiche, in un Paese come questo dove nella stanza potere decisionale siedono ridicoli esponenti della più grande sètta razzista della storia dell'umanità. In quest'ottica, leggere cosa scrive Dario trasmette -almeno a me- un senzo di tristezza infinita....


Dario in Danimarca: gay, sposato. Felice.

Ho 42 anni. Dieci anni fa, insieme al mio fidanzato ci siamo trasferiti in Danimarca per smettere di pensare di essere gay e cominciare ad esserlo in un contesto sociale non ghettizante. A quel tempo la Danimarca era l’unico paese, insieme all’Olanda, dove fosse possibile una qualche forma di riconoscimento delle unioni omosessuali.
Per quanto anche qui ci siano locali gay di ogni tipo, discoteche, bar, caffè, saune, in realtà non si sente la necessità di avere dei locali “dedicati”. Personalmente, dopo un primo periodo in cui frequentavamo assiduamente l’ambiente gay, non appena abbiamo stretto amicizie locali, non abbiamo più sentito questa necessità.
I gay si mischiano tranquillamente agli etero in qualunque ambiente e nessuno si scandalizza nel vedere due uomini o due donne baciarsi. Senza ostentare la propria omosessualità e allo stesso modo, senza tacerla, non abbiamo mai avuto problemi di accettazione e in ambito lavorativo e sociale. Alla domanda se fossimo single o meno è sempre bastato rispondere che avevo un fidanzato o dopo il matrimonio, un marito e basta.
I primi 2 anni in Danimarca, siamo stati ospiti presso la dimora di un pastore luterano, lo stesso che poi ha benedetto la nostra unione. Mio marito lavora per una società di catering presso l’aeroporto di Copenaghen. Io ho avuto varie esperienze lavorative, dalla panificazione (attività di famiglia), all’insegnamento dell’italiano, dalla direzione di un negozio di abbigliamento vintage, a 3 anni di lavoro presso la cancelleria consolare dell’Ambasciata Italiana a Copenaghen.
Una curiosità: al nostro matrimonio era presente l’allora Console italiano con la sua signora, e anche l’Ambasciatore ci ha fatto i suoi auguri ed in seguito ha sempre incluso mio marito negli inviti per ricevimenti o manifestazioni varie.
Filippo, mio marito, non ama molto uscire la sera, per cui io esco ogni tanto con un amico norvegese, sposato anche lui, per le nostre saltuarie escursioni nella night life gay di Copenaghen. Non so cos’altro aggiungere.
Attualmente io lavoro come tour operator, abbiamo una vita molto normale, lavoro, qualche amico, si esce per andare a concerti o al cinema, vacanze… Una vita come tante altre, con la sola differenza che non dobbiamo presentarci come cari amici o altre baggianate.
Probabilmente qualcuno in Italia potrà trovare tutto ciò noioso, per noi al contrario, questo era proprio l’obiettivo, far parte di una comunità senza essere al centro dell’attenzione; frequentare qualunque tipo di locale senza doversi ghettizzare in luoghi per soli gay.

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