giovedì 27 dicembre 2007

Chi è malato?


In merito alla "avventura" del giornalista di Liberazione che si è finto gay per indagare sul torbido mondo delle "cure" cattoliche dell'omosessualità, riporto da Gaynews una bella lettera di una esponente del Coordinamento Politico Nazionale del PD (che, come tutti sappiamo, vuol dire Partito Defunto).

IO LESBICA, NON VOGLIO ESSERE CURATA
Anna Paola Concia: Siamo “malati di normalità”

Ho letto in questi giorni l’articolo del giornalista di liberazione, Davide Varì, che per sei mesi si è finto gay, impaurito dalla sua condizione e in cerca di aiuto. Ha contattato prima un prete e da lui è stato introdotto in un percorso di terapia «riparativa» dell’omosessualità condotta dal Professor Cantelmi, luminare di psicologia della Pontificia Università Gregoriana.
Un percorso che lo ha condotto attraverso colloqui e terapie inquietanti. E lo ha messo a contatto con un universo dove l’omosessualità è considerata una malattia dalla quale bisogna guarire.
Una serie di colloqui in cui la prima domanda che gli veniva rivolta era: «sei attivo o passivo nei tuoi rapporti sessuali?». E, come racconta «nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni “subite”»? L’ho letto insieme a mia sorella. È Natale e sono qui con lei e con gli altri della mia famiglia. Felice “deviata” in una famiglia normale. Lo abbiamo letto insieme tra rabbia e risate. Lei, debbo dire, addirittura più arrabbiata di me. Mia sorella è protettiva con me, perché conosce la sofferenza che ha accompagnato la mia vita di omosessuale. Una fatica lunga vent’anni. È bello e rende forti essere protetti dalla propria famiglia. Essere accettati, riconosciuti per quello che si è. È fondamentale. Tanta della mia forza nasce da qui, da loro. Oggi mi sento forte e posso parlare (quasi) tranquillamente di quello che leggo. Quasi, perché leggendo il racconto di Varì su cosa vive un omosessuale che incappa nel prof. Cantelmi, ho un rigurgito di sofferenza, di dolore che, forse, non se ne andrà mai da dentro di me. Ho cercato di superarlo buttandomi a capofitto nella battaglia sui diritti civili, sui diritti degli omosessuali. Cercando, insieme a tante e tanti omosessuali italiani di lottare perché nel nostro paese tanti giovani non soffrissero più quello che abbiamo sofferto noi. Perché finalmente l’omosessualità non venga più considerata una devianza, una malattia. Ma una condizione umana, quale è. Una condizione talmente umana che può rivelarsi improvvisamente nella nostra vita. Anche da adulti. L’Organizzazione mondiale della sanità dal 1990 non considera più l’omosessualità una malattia mentale, ma una variante della sessualità. Ma Cantelmi e compagnia questo lo sanno? Lo sanno che non essendo una malattia non si deve guarire? Bensì costruire un percorso di accettazione, affinché si possa superare il disagio e la sofferenza di vivere in una società che ti considera un reietto. E diciamolo allora, che è la società che ci fa ammalare, con il suo rifiuto e non la nostra condizione di omosessuali. Troppe volte ho cercato di spiegarlo a Paola Binetti, che insiste cinicamente sulla nostra “malattia”. Sa benissimo di ferire, offendere tante e tanti omosessuali. Sa benissimo che con le sue affermazioni getta benzina sul fuoco. Ma appunto, lo fa apposta, e questo è gravissimo. E qualcuno dovrebbe spiegarle che non può usare il suo potere ricattatorio al Senato per dire e fare quello che vuole. E avere così un grande potere mediatico. L’informazione è malata: meglio chiedere il parere dell’integralista cattolica che quello di tante e tanti cattolici che considerano l’omosessualità una condizione umana come tutte le altre. E lei sfrutta questo cortocircuito. Ma è necessario ora che questo Paese reagisca, è necessario che questo governo faccia qualcosa, che la politica, la cultura si facciano sentire. Livia Turco innanzitutto, come chiede Aurelio Mancuso, intervenga sull’Ordine degli psicologi e cerchi di arginare questi pseudoterapisti che forti del loro integralismo e della copertura del Vaticano, creano sofferenza, disagio e rovinano tante giovani vite. Esiste un’etica della professione? Allora si facciano sentire anche tanti psicologi e psicoterapeuti, che aiutano e sostengono con successo tante e tanti omosessuali in percorsi di accettazione. Come la mia terapista, freudiana addirittura! Devo anche a lei la mia serenità di oggi. Le sarò grata per la vita. E infine, è vero di una cosa siamo malati noi lesbiche e gay. Siamo “malati di normalità”. Perché poter vivere vite normali, essere considerati normali, questo sì è il nostro grande e profondo desiderio. È questo quello che chiediamo a tutti. Servono leggi, serve cultura. Serve tutto per compiere anche nel nostro Paese quella che sarebbe una vera rivoluzione: la normalità dell’omosessualità.

Anna Paola Concia


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