giovedì 3 gennaio 2008

I 5 sessi



Né maschio né femmina
di Alessandra Baduel (da DWeb 22 12 07).

Nome, cognome, età, indirizzo. Genere. Ecco il profilo della nostra identità ufficiale. Ma se leviamo la casella dove appare M o F, che succede? Che succede con la patente, il codice fiscale, il passaporto, ogni documento d'identità o "riconoscimento", come appunto si dice? Che succede in banca, dal datore di lavoro, alla firma di un contratto? Domande che danno una pericolosa importanza a eventi "nominali", per alcuni. Che provengono da culture lontane dalla nostra, per altri. Ma, per altri ancora, diritti da garantire a chi il proprio genere lo sente diverso da quello che gli offre la propria anatomia. Domande che tornano ora, con la notizia che la municipalità di San Francisco ha deciso di rilasciare documenti che prevedono la foto ma non l'indicazione del sesso. Ed è anche occasione per chiedersi, come faceva un forum organizzato da Le Monde in novembre, quali sono le nuove frontiere delle differenze sessuali.

Secondo le stime del Movimento italiano transessuali, in Italia le persone Mtf o Ftm, in transito Male to female e viceversa, sono circa 20mila. La cifra include anche chi ha scelto di non operarsi. Nel 2003 erano la metà. "Sono aumentati quelli che dichiarano cosa sentono", spiega la vice presidente del Mit, Porpora Marcasciano. I problemi, invece, non sono diminuiti. A Bologna, Porpora sta preparando un convegno: "Nati in un corpo sbagliato, o in un mondo sbagliato?". Non ha mai voluto operarsi e continua ad arrangiarsi coi documenti da uomo. "Se una trans si ricovera in ospedale", spiega, "la mettono fra gli uomini. Tutto quello che è diviso in maschi e femmine crea difficoltà". Don Andrea Gallo nella sua comunità di San Benedetto, a Genova, accoglie spesso trans. "Una brasiliana operata a Napoli", racconta, "era raggiante. Cattolica, voleva sposarsi in chiesa con l'uomo che amava. Ma la parrocchia, in Brasile, non ha voluto cambiare il certificato di battesimo: ha dovuto accontentarsi del rito civile. Quanto all'Italia, purtroppo siamo al livello che Veltroni temporeggia sul registro delle unioni civili a Roma. Io rispetto il principio dell'autodeterminazione: quella è una dottrina certa. Non seguendola, si provocano invece danni enormi". Gigliola Toniollo, responsabile del settore Nuovi diritti della Cgil, riceve le denunce di discriminazioni sul lavoro, spesso anonime, di molti transessuali. "C'è mobbing", segnala, "e venire assunti, quando lo scoprono, è impossibile. Servirebbe levare il genere dal codice fiscale. Poi c'è il problema del decreto Bassanini sul riordino anagrafico, della prima legislatura del centrosinistra. Il vecchio decreto regio lasciava libera scelta nel cambiare un nome "che causa disagio". Ora invece il cambiamento è vincolato al sesso stabilito alla nascita.
Quindi chi vuole cambiare usa nomi ambigui come Celeste, Robin, Andrea. Ma intanto c'è soprattutto una cultura, che fa scrivere sui giornali "un trans rapina il cliente", considerandola un "lui" e dando per scontato che se è trans, allora si prostituisce". Oggi, in Italia, per cambiare il sesso sui documenti bisogna affrontare l'operazione che elimina l'apparato riproduttivo. Poi serve l'approvazione di un magistrato. Stefano, Ftm quarantenne di Milano, qualche anno fa raccontava a D: "Quando ho cominciato il transito da donna a uomo, ho perso il posto in fabbrica. Ho affrontato le operazioni, mi sono levato tutto. Il giudice, dopo aver rimandato per circa quaranta volte l'udienza, mi ha finalmente ricevuto. Per concludere che serviva un'altra perizia medica. Solo dopo, mi ha dato il permesso di dichiararmi uomo". Il deputato Sd Franco Grillini, primo firmatario di uno dei tre disegni di legge per il superamento dell'obbligo all'operazione, segnala due cose: "Come dice la legge spagnola a cui ci siamo ispirati, non servono né l'operazione, né il magistrato. Alla conferenza di Pechino del 2003, l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità, ndr) ha dichiarato che esistono non due ma cinque sessi: uomo, donna, gay, lesbica, transessuale". E la deputata di Rifondazione Comunista Titti De Simone, firmataria di un'altra delle proposte, ricorda: "Ormai siamo fuori anche dal quadro europeo. Le differenze di genere sono il motore del mondo, ma l'importante è la libera scelta. Bisogna superare i cliché, anche quelli delle femministe storiche. Oggi ci sono generi, generazioni e femminismi che s'intrecciano".

In sintonia con l'Oms, da anni le giovani femministe si confrontano con le varie e-spressioni del mondo Glbtq (Gay, lesbian, bisexual, transexual e queer - alla lettera, "eccentrico"). Scrivono che "ognun@ deve essere liber@ di esprimere la propria sessualità". Con la chiocciola, per non chiudere in "a". Dividere in maschi e femmine, dicono, è "utile per il controllo, per il potere". E se vanno da sole alla manifestazione contro la violenza sulle donne, lo chiamano "separatismo tattico". Sui documenti senza F o M, le romane di A/Matrix commentano: "Se implica che nazionalità, colore e genere diventano "in-significanti" per l'accesso ai diritti di cittadinanza, vuol dire che il potere delle norme per una volta decide di ritirarsi dalla vita. Le definizioni rigide (cittadino/ clandestino, maschio/femmina, sposato/libero, bianco/nero) si portano sempre dietro un carico di violenza. Rimane il fatto che, sul piano politico e sociale, genere e colore sono tutt'altro che insignificanti. E la cancellazione del genere dai documenti non va intesa come una mossa verso una società sex/gender blind, senza sesso e genere, ma valorizzata come tentativo di andare oltre categorie cristallizzate".
Fanno eco le bolognesi del Sexy Shock: "Forse l'invio del curriculum senza sesso potrebbe far superare un primo ostacolo, di sicuro per un telelavoro: ma quando il corpo entra in scena che succede? In Italia il documento non basterebbe. Però ci piacerebbe poter scegliere come dichiararci. Non negare l'identità di genere, ma renderla flessibile e svincolata dal sesso biologico. Potrebbe essere un passo della battaglia contro le discriminazioni".

Non la pensa così il sindaco di Venezia Massimo Cacciari. "La trovo una tipica trovata californiana, pura New Age, puro nominalismo. Si tratta di problemi culturali profondi, non si risolvono con risibili scorciatoie. Cosa vuole che cambi nella violenza quotidiana contro le donne, per esempio? Le leggi possono solo sancire dei mutamenti culturali, non crearli. Poi, non vedo che c'è di male, ovvio: se uno vuole, cambia sesso. Però non mi piace il carnevale perpetuo. Tutti desiderano una maschera, ma se diventa un fatto permanente, diventa legge. Certo, si tratta di minoranze anche pesantemente discriminate. Però l'ossessione per i mutamenti formali è il più banale degli imborghesimenti". E un sindaco come quello di Cittadella, che dal Padovano ha deciso di fare di testa sua per il "problema immigrati"? Massimo Bitonci sui documenti senza sesso non ha incertezze: "Singolare iniziativa, ma non sono contrario. Credo nella libertà. Certo, fatta salva la sicurezza della collettività. Insomma, basta che non serva a mascherarsi. Se c'è la foto e corrisponde alla persona, per me va bene". Più perplesso il sindaco della bergamasca Caravaggio, Giuseppe Prevolini, che non vuole più sposare immigrati senza permesso di soggiorno. "Mi sembra più che altro una provocazione. Noi siamo una cultura diversa. E, da un punto di vista pratico, vedo poca possibilità di attuazione. Ma con ciò, non esprimo alcuna critica verso certe scelte". Niente incertezze per Sergio Biasi, sindaco della leccese Melpignano: "Questo è il secolo dei diritti e dei cittadini. L'unico problema è che non posso farlo. Come non posso sposare due uomini, anche se ero al Gay Pride a Bari con il gonfalone della mia città. Il cambiamento culturale riguarda tutti. E le leggi possono aiutare". Per combattere le discriminazioni l'Italia ha un ministero, le Pari opportunità, anche se da soli 10 anni. "Quella di San Francisco è una scelta coraggiosa", commenta Barbara Pollastrini, "non a caso viene da un Paese moderno, che compie anche atti molto reazionari ma sa fare investimenti di fiducia come questo. Non credo affatto si tratti di pura forma: per chi vive tutti i giorni la discriminazione, un pezzo di carta è simbolico, è importante.
Chi lo chiede, sa che la forma è sostanza. Da noi, parlarne è un'occasione per far cadere dei tabù. Io difendo sempre i diritti civili, la libertà. Unita alla responsabilità. La cosa andrebbe studiata. Però, perché no? C'è il problema creato dal decreto Bassanini? Se il Parlamento lo consentisse, lo affronterei volentieri. Le re- gole, secondo me, vanno usate per eliminare le discriminazioni, non per crearle. L'Italia è malata di conservatorismo e di familismo. In più, abbiamo purtroppo un'élite poco attenta a quanto sia prezioso investire sui diritti della persona".

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